domenica 23 maggio 2010

L’arte del (non-)cambiamento

Riferendosi alle tecniche di apprendimento scolastico, un famoso psicologo ha affermato che “gli operatori scolastici dovrebbero accettare con serenità ciò che nella scuola non può essere cambiato, possedere il coraggio di cambiare ciò che è possibile modificare e la saggezza di distinguere l’uno dall’altro.”.

Beh, questa frase è molto significativa, e può essere senza alcuna difficoltà collocata sul piano dell’esperienze di tutti i giorni. Capita molto spesso di ascoltare buoni propositi, lamentele sulle cose che non vanno nella nostra società, coraggiose proposte di cambiamento e cose simili.

Si può dire senza ombra di dubbio che quasi ogni giorno ci capita almeno uno di questi episodi. Dalle notizie sui giornali, alle parole dei politici, dai buoni propositi personali e degli amici, dappertutto ci capita di ascoltare “proposte” e “lamentele” sulla società, su come cambiare ciò che non ci piace e su come migliorare ciò che già abbiamo.

Dove è il problema? Beh forse uno degli ostacoli al cambiamento e al miglioramento della società è proprio il nostro modo di porci davanti al problema. E la frase introduttiva coglie in pieno il senso della faccenda. Se al posto di ‘operatori scolastici’ sostituiamo il termine ‘cittadini’ o ‘uomini’ e al posto di ‘scuola’ adoperiamo il termine ‘società’ la frase descrive molto bene un reale problema della nostra società.

In televisione, per radio, nelle discussioni tra amici ci sono molto spesso solo proposte irrealizzabili, o difficilmente realizzabili. Tutti i grandi uomini hanno compiuto le loro imprese con pazienza e con piccoli passi per volta. E allora perché nelle nostre proposte di cambiamento della società, parliamo di cose irrealizzabili? Perché in politica e nella televisione si parla molto e si prendono poche decisioni utili ai fini pratici?

Tralasciando la politica e la televisione in cui ci sono troppi interessi, economici e non, per poterne parlare in maniera semplice e diretta, poniamo dunque il tema sulla vita di tutti i giorni e sui discorsi che normalmente avvengono tra amici e normali cittadini.

Troppo spesso le nostre proposte riguardano ciò che non può essere (ancora) modificato, o perché irrealizzabile nel contesto spazio – temporale in cui viviamo, o per mancanza di un supporto pratico per la realizzazione. Sarebbe molto più utile iniziare dalle piccole cose, seguendo la strada percorsa dai grandi uomini.

Ma molti di noi non è questo ciò che vogliono. Invece di iniziare a dare un buon esempio nel piccolo, nella propria sfera personale, molto spesso parliamo di grandi propositi, della pace nel mondo, del problema della fame mondiale. L’uso spropositato di termini quali “mondo”, “mondiale”, “universale” sono spesso un segnale della nostra incapacità e mancanza di volontà nel risolvere realmente il problema.

Gandhi ha affermato: “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

E dunque iniziamo a dare nel nostro piccolo gli esempi di cambiamento. Inutile parlare di proposte di pace nel mondo se non riusciamo a far a meno di litigare con le persone attorno a noi.

E’ stato stimato che se tutti i cittadini del mondo volessero mangiare come noi Europei (o Americani) non ci sarebbe cibo e risorse a sufficienza nel mondo. Dunque, il problema della fame del mondo si può risolvere solo riducendo i consumi dei popoli “ricchi”. Dunque, siccome non è questo ciò che vogliamo singolarmente (perché pochi di noi sono disposti a rinunciare a parte del cibo e delle altre risorse che consumiamo giornalmente), il problema della fame del mondo non è un reale problema, nel senso che non è risolvibile nel contesto spazio – temporale attuale. Bisognerebbe prima gettare i semi di un cambiamento del singolo individuo per poter risolvere il problema della fame nel mondo, seriamente.

Le guerre nel mondo avvengono per tanti propositi, ma principalmente è la somma di tanti milioni di piccoli contributi. Un capo di stato non si sveglia un giorno e dichiara guerra al suo vicino. Siamo anche noi responsabili, perché come noi piccoli cittadini lottiamo e imbrogliamo per conquistare qualche euro, così uno stato lotta e ne distrugge un altro. Come noi litighiamo con i nostri vicini per futili motivi, così due stati confinanti si fanno guerra. Le dinamiche psicologiche sono simili, in fondo uno stato non è un aggregato di singoli uomini e donne? Da cellule malate può mai nascere un organismo sano?

Lao Tse ha affermato: “ciò che è in piccolo, cosi è in grande”.

Per questo motivo prima di sognare un cambiamento nel mondo cerchiamo di attuarlo in noi stessi. Non sogniamo la pace nel mondo, al di fuori di noi. Non limitiamoci a speculare su grandi proposte che possono risolvere i problemi dell’umanità. Se non ci circondiamo di pace, difficilmente il mondo lo farà. Ogni qualvolta cerchiamo di imbrogliare lo stato o altri cittadini, pensiamo che quello che stiamo facendo è dettato dalle stesse dinamiche psicologiche che causano i grandi problemi dell’umanità. Noi comuni cittadini possiamo truffare pochi soldi alle assicurazioni, possiamo appropriarci di qualche euro illegalmente e sentirci comunque con la coscienza a posto pensando che i veri problemi siano altri. Ma quasi tutti i problemi che abbiamo nella nostra società sono la somma dei nostri piccoli contributi e siamo pertanto corresponsabili.

Il problema è che molto spesso ci sentiamo fuori dal mondo. Consideriamo il mondo e la società come oggetti dei nostri pensieri, su cui ragionare e speculare. Ci dimentichiamo molto spesso che noi siamo parte effettiva del mondo e che possiamo agire di conseguenza per migliorarlo. Pregare o sperare non è sufficiente. E’ una formula troppo comoda per demandare agli altri o a Dio ciò che per pigrizia non abbiamo il coraggio di fare. L’esistenza o meno di un’entità che ci giudicherà dopo la morte non ci dovrebbe dare l’arroganza di rimanere inermi di fronte agli eventi, soprattutto quelli spiacevoli. La promessa di una vita migliore dopo la morte, non deve avere necessariamente come conseguenza la distruzione o l’abbandono del mondo in cui viviamo.

Nel parlare dunque con amici e parenti di grandi proposte non facciamo altro che contribuire al problema, se non altro perché molti di noi, nell’impossibilità di agire, nella pigrizia e nella falsità di cui troppo spesso inconsciamente ci circondiamo, illudiamo noi stessi parlando agli altri di proposte e soluzioni ‘irrealizzabili’. Nel giudicare chi commette grandi peccati, ci solleviamo dalla responsabilità dei nostri piccoli peccati quotidiani.

Il vero cambiamento inizia da una distanza che non va oltre un palmo dal nostro naso e da un tempo che non dura oltre quello di un battito di ciglia.

Antonio de Francesco

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