domenica 9 maggio 2010

Ego-Insostenibilità

Ego - insostenibilità dell’essere

Un uomo può vivere alcune settimane senza cibo, alcuni giorni senza acqua, solo qualche ora senza parlare di sé.

Non solo il corpo, ma anche il nostro ego ha bisogno di nutrienti. Ma di quali nutrienti si tratta? E cosa è l’Ego?

La maggior parte di noi passa quasi un terzo della propria esistenza nel sonno, la restante parte a condurre a termine i propri obiettivi, a curare la propria immagine personale, a rafforzare le proprie amicizie, a curare le proprie passioni. Non è un caso che la parola più usata nelle comuni discussioni sia il termine “IO”, e i suoi derivati. Insomma, ci teniamo moltissimo a noi stessi, alla nostra identità personale. Deve essere qualcosa di veramente importante per un uomo la propria immagine! A tal punto che per essa è disposta a lottare, anche a uccidere, se necessario.

Vivere nell’unità.

Ma cos’è l’Io? La nostra mente può essere paragonata ad un uomo immaginario immerso in una natura immensa e meravigliosa. In questo luogo magico , l’uomo inizialmente vaga indisturbato, senza una meta precisa. Ed è così che ogni giorno scopre posti nuovi e magnifici. Vive in armonia con il tutto.

E dall’unità si genera la dualità.

Poi, un giorno, incontra altre persone. Decide che il posto che ha scoperto è suo, che ne è il proprietario. Comincia a costruire un recinto, delle armi di difesa. Comincia a far entrare solo le persone di cui si fida. Comincia a lottare. Stringe alleanze, cura la propria immagine. Smette di esplorare il mondo. E lo si sente spesso affermare: questo è mio!

Il desiderio, l’attaccamento e la conseguente illusione, genera la separazione. Dall’uno, si passa al due, alla dualità, causa primaria della sofferenza.

L’Io … un recinto

Dunque l’Io potrebbe essere paragonato al recinto dell’esempio precedente. Un semplice recinto che usiamo come elemento di separazione tra la nostra mente e quella altrui.

Dentro al recinto dell’esempio precedente, l’uomo costruisce una casa, un giardino. Si sente protetto, distinto dagli altri. Ma poi? Tanto lavoro per niente? Certo che no. Lo fa vedere agli altri. E racconta del proprio giardino, della propria casa che ha costruito con amore. E nel fare ciò riserva poca importanza alle opinioni e parole altrui.

Forse l’Io è proprio questo, un recinto che separa le menti. Forse è così artificiale che ogni giorno avvertiamo la necessità di fare qualcosa, per ricordarci che esiste, che è concreto, reale. Se ne fossimo certi, perché parlarne cosi tanto? La maggior parte di noi non accetta forse di discutere con gli altri solo per parlare di se stesso? Per imporre il proprio punto di vista?

Il dialogo insomma sembra essere lo strumento preferito dell’egocentrico.

In oriente, in effetti, la saggezza è stata sempre equiparata con la capacità di saper ascoltare, piuttosto che con quella di parlare.

Se ci pensate, abbiamo due braccia e non andiamo giornalmente in giro a riferirlo agli altri. Si vedono, sono sotto gli occhi di tutti. Ma non così con i nostri pensieri! Spesso avvertiamo una irrefrenabile necessità di parlare di noi stessi, dei nostri pensieri agli altri. Mi sa che anche io sto facendo lo stesso in questo momento!

Ma cos’è l’Io?

Comunque sia possiamo considerare il nostro Io una parte importante di noi stessi, una cosa di cui andarne fieri. Dunque suppongo che conosciamo molto bene questa parte di noi stessi. Ciò che è strano, però, è che nella maggior parte dei casi è sufficiente chiedere il perché di un proprio comportamento o di una propria decisione ad una persona, che dopo un paio di domande del tipo “perché …” si sentirà la classica risposta “io sono fatto cosi”, “non saprei… è il mio carattere” o qualcosa del tipo “sono sempre stato cosi… io”.

Che strano essere questo Io! Giustifica il proprio comportamento e le proprie azioni in maniera auto-referenziale. Se, interrogando un astronomo, e ponendo ad egli una domanda del tipo “Cosa è la Luna?”, vi sentiste rispondere “La Luna è un qualcosa che è fatta come la Luna”… beh posso immaginare la vostra delusione e insoddisfazione. Un pò strana la risposta, direste, o forse senza senso. Ma, in fondo, è la risposta che diamo agli altri e a noi stessi quando ci interroghiamo su alcuni quesiti fondamentali posti sul nostro essere e sul nostro comportamento.

Sappiamo insomma così poco di noi stessi, ma lottiamo, offendiamo, uccidiamo per le nostre idee.

La biglia di Hofstadter

D. Hofstadter ha definito l’Io come una illusione ‘reale’, paragonando il concetto di Io a quello della biglia fantasma formata da una pila di buste per lettere. Le normali buste adoperate per spedire le lettere presentano un rigonfiamento centrale dovuto allo strato di carta superfluo per la chiusura. Una colonna di buste una sull’altra forma al suo centro una zona molto più dura delle parti esterne, dando al proprio tatto l’illusione di una sorta di ‘biglia’ presente nella parte centrale. L’illusione è talmente pura e reale che non sapendo che si sta toccando una pila di buste si ha la sensazione, anzi la certezza matematica, che all’interno della pila ci sia qualcosa di solido, di veramente duro. Ovviamente all’interno non c’è nulla, ma solo il contributo di centinaia di rigonfiamenti delle singole buste di carta. Per Hofstadter, la concezione dell’Io che abbiamo di noi stessi è qualcosa di simile. Siamo certi che esiste, come siamo sicuri che dentro le buste ci sia un corpo solido.

Ma la certezza svanisce quando si ha il coraggio di guardare dentro.

E ce ne vuole di coraggio. La disgregazione del proprio io, non è qualcosa di piacevole se non si è preparati!

Dov’è finita la materia?

In ogni caso la ricerca del nostro Io, del suo modo di agire e manifestarsi assomiglia moltissimo allo studio della materia condotta dagli scienziati, e da fisici e chimici in particolare negli ultimi anni. Era intenzione degli studiosi comprendere il mondo analizzando parti sempre più piccole della materia. Il riduzionismo sembrava essere la strada maestra per la comprensione di ogni cosa, i fenomeni fisici in particolare. Ma, le recenti scoperte nel mondo della fisica (come della psicologia) hanno fatto emergere qualcosa di sorprendente. Qualcuno ha affermato: “spaventoso!”.

La riduzione dal tutto all’uno non sempre è possibile.

Prendiamo la materia ad esempio. Consideriamo una solida e dura pietra. Ingrandendo con un microscopio la pietra, si arriverebbe ad un certo punto alla visione dei singoli atomi, e successivamente delle particelle sub-atomiche. E poi ? Un ipotetico microscopio con capacità di zoom ancora più elevate finirebbe per non vedere nulla! E si, la solida materia al suo interno non ha niente di solido. Tanto vuoto e … energia.

Come ha affermato B. Russell: “la materia è solo una formula comoda per descrivere ciò che avviene là dove essa in realtà non c’è”. E citando A. Einstein: “noi possiamo perciò considerare la materia come costituita dalle regioni dello spazio nelle quali il campo è particolarmente intenso … In questo nuovo tipo di fisica non c’e’ luogo insieme per campo e materia poiché il campo e’ la sola realtà.”

Insomma la materia così come noi la osserviamo tutti i giorni non è più, in un certo senso, oggetto di studio da parte della fisica moderna. Ciò che vediamo tutti i giorni è solo una parte, un modello, un’approssimazione di ciò che è reale, se di una realtà si può parlare.

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Il discorso della materia può applicarsi di pari passo alla nozione di Io. L’Io sembra qualcosa di solido, di innegabile. Come è innegabile l’esistenza della biglia di Holfstadter o della durezza di una pietra. Sono percepiti come reali, nessuno potrebbe affermare il contrario. Ma nell’analizzare fino in fondo la biglia o la pietra, e analogamente il nostro Io, ad un certo punto, con un certo grado di ingrandimento di un ipotetico microscopio non vedremmo nulla, niente di ciò che ci aspettiamo.

Questo ipotetico microscopio dell’Io, che si può chiamare Microscop-Io, finirebbe per rilevare nei costituenti del nostro Io niente che possa ricondurci ad esso. Insomma l’Io sembra essere un concetto olistico! Dunque perché appropriarcene. Se di un Io possiamo parlare nella realtà di tutti i giorni, lo dobbiamo agli altri, all’esistenza degli altri. Così come il sole deve il suo splendore, all’esistenza di luoghi e oggetti bui attorno ad esso.

Il già citato Hofstadter, nel suo libro “Anelli dell’Io”, ha mostrato con semplici esempi come l’indagare e il voler dimostrare il funzionamento del nostro cervello e del nostro Io attraverso la comprensione dei neuroni e delle parti microscopiche del nostro cervello, non fa altro che portarci fuori strada. Del nostro Io nei primitivi neuroni non c’è traccia! Ne è possibile spiegare molte proprietà e facoltà del nostro cervello mediante l’analisi di miliardi di piccole cellule.

Due tavoli che si sorreggono da sé…

Secondo il buddismo il nostro essere è costituito da 5 aggregati (o skanda): l’aggregato della materia, delle sensazioni, delle formazioni mentali, delle forze istintive e della coscienza. Si passa dunque dagli aspetti materiali, alla relativa percezione (i 5 sensi), fino alla consapevolezza e quindi al proprio Io, alla propria coscienza dunque. Una riflessione profonda sui cinque aggregati porta alla conclusione (secondo la visione buddista) che tutti gli aggregati sono privi di contenuto, privi di un sé. In un certo senso è molto simile a ciò che accade alla materia nella concezione fisica moderna, o alla biglia di Hofstadter. Da un certo punto di vista sono reali, perché percepiti come tali. Ma un’analisi profonda fa svanire ogni esistenza intrinseca.

La materia, come le biglie di Hofstadter, e come il nostro nella visione orientale, esistono solo perché sono percepiti come esistenti da noi e dal nostro abitudinale piano di esistenza. Insomma tutte le cose che vediamo sono interconnesse e si sorreggono a vicenda nel piano reale. La materia esiste perché c’è una coscienza che la osserva e la definisce; come l’illusione che possono avere due ipotetici tavoli adiacenti, convinti ognuno che l’altro lo sorregga.

Nella visione buddista, la disgregazione dell’Io va intesa non come dissoluzione, o distruzione della nostra mente o di noi stessi, ma come consapevolezza che l’Io è un semplice epifenomeno dell’esistenza, senza una realtà fisica sottostante, che non può essere separato da tutto il resto, e la cui esistenza intrinseca è priva di significato.

Ciò che mi ha sempre affascinato è la presenza di nozioni di “materia = energia” in libri di oltre 2000 anni fa. La celebre equazione E = MC2 di Einstein è forse la traduzione matematica del sapere orientale, in cui la materia è stata sempre vista come una sorta di concentrazione di energia e come fenomeno vibrazionale, come agli occhi di un moderno fisico.

Antonio de Francesco.

Per concludere riporto le parole di Fred Van Allmen, tratte da un lavoro sui 5 aggregati:

Ma esiste anche un ‘altra possibilità: invece di pensare al piede, cercate di avvertire,

sentire che cosa c’è là dove c’è il piede. Non so che cosa avvertiate voi specificamente; io sento

durezza o pressione, un certo tipo di superficie e una sensazione di freddo. Non c’è un piede. Ma

poi so che questa esperienza è chiamata piede. Nella meditazione, per la maggior parte del tempo, si

cerca di rimanere in contatto con l‘esperienza immediata, diretta della sensazione. Se penso ‘piede’

mi riferisco a qualcosa di immutabile: "È sempre stato il mio piede, per cinquantadue anni. Ma se

avverto direttamente ciò che sta succedendo, mi accorgo che c’e un’esperienza costantemente

cangiante, che è la realtà.

"La gravità è la forza più debole in natura, ma regna sovrana nelle grandi distanze e definisce la forma e la struttura dell’universo. Cosi il saggio comprende che, non dalla forza, ma dalla pazienza e dalla perseveranza delle proprie azioni scaturiscono i veri risultati (AdF).

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