Quando i matematici hanno preso consapevolezza che tra 0 e 1 giacevano un’infinità di numeri, dalle proprietà straordinarie, si è aperta una nuova visione del mondo matematico, dove 0 e 1 non sono altro che due estremi di uno spazio continuo.
Quando gli uomini comprenderanno che tra il bene e il male, l’agire e il non agire, tra la partenza e il traguardo, risiedono un’infinità di emozioni, emergerà una nuova visione del mondo, in cui il bene e il male, l’agire e il non agire, la partenza e il traguardo, come i numeri 0 e 1, non sono altro che due estremità.
Noi esseri umani siamo strutture macroscopiche in un universo le cui leggi risiedono a un livello microscopico. In quanto esseri che cercano di sopravvivere, siamo indotti a cercare spiegazioni efficaci che si riferiscono soltanto a entità del nostro stesso livello. Perciò tracciamo confini concettuali attorno alle entità che percepiamo con maggiore facilità, e nel far questo ci ritagliamo su misura quella che ci sembra essere la realtà. L'IO che ciascuno di noi crea per sé stesso è un esempio per eccellenza di una tale realtà percepita, o inventata, e riesce così bene a spiegare il nostro comportamento che diventa il fulcro attorno a cui il resto del mondo sembra ruotare. Ma questa nozione di "IO" è soltanto una formula abbreviata per indicare una gran quantità di fermento e agitazione di cui siamo necessariamente inconsapevoli.
Ma la nostra stessa insondabilità è per noi una fortuna!
Sospesi a metà tra l'inconcepibile immensità cosmica dello spazio tempo relativistico, e il guizzare elusivo e indistino di cariche quantistiche, noi essere umani, più simili ad arcobaleni e miraggi che ad architravi o macigni, siamo imprevedibili poemi che scrivono sé stessi, vaghi, metaforici, ambigui, e a volte straordinariamente belli.
(D. Hofstadter)
E' incredibile come le conclusioni di un cibernetico del nostro tempo, siano le stesse, di uomini di 2000 anni fa, che in meditazione, hanno raggiunto le stesse conclusioni, senza computer, cultura, libri...
Bertrand Russell affermò: "La materia è solo una formula comoda per descrivere ciò che avviene là dove in realtà non c'è". Aggiungerei: "L'IO è solo una parola, una sensazione immaginaria, una percezione illusoria, per descrivere ciò che in realtà non esiste.".
Libertà... forse è afferrare fino in fondo l'inconsistenza dell'IO.
I monaci residenti al Santacittarama – insieme ad altri monaci in visita – hanno partecipato ad uno studio sull’attività cerebrale durante la meditazione, che ha utilizzato sia la risonanza magnetica funzionale che la magnetoencefalografia. Una prima pubblicazione scientifica internazionale sullo studio ha già visto la luce, sul Brain Research Bulletin. Si può accedere ad un abstract (in inglese) su questa pubblicazione al sito:
Questa ricerca ha recentemente ricevuto attenzione in un programma radio, su “Radio3 Scienza”, con la partecipazione del prof. Antonino Raffone, che ha coordinato lo studio, ed Ajahn Chandapalo. La registrazione della puntata è accessibile al sito:
In oltre, per persone con una buona competenza in inglese:
A team of researchers at the University of Melbourne’s School of Behavioural Science is currently undertaking a research project exploring the potential benefits of meditation. For anybody who wishes to participate, the study involves completing an online survey which will take between 15 to 20 minutes. For more information on the study or to access the online survey, please go to: http://www.surveymonkey.com/s/meditation_study
Riferendosi alle tecniche di apprendimento scolastico, un famoso psicologo ha affermato che “gli operatori scolastici dovrebbero accettare con serenità ciò che nella scuola non può essere cambiato, possedere il coraggio di cambiare ciò che è possibile modificare e la saggezza di distinguere l’uno dall’altro.”.
Beh, questa frase è molto significativa, e può essere senza alcuna difficoltà collocata sul piano dell’esperienze di tutti i giorni. Capita molto spesso di ascoltare buoni propositi, lamentele sulle cose che non vanno nella nostra società, coraggiose proposte di cambiamento e cose simili.
Si può dire senza ombra di dubbio che quasi ogni giorno ci capita almeno uno di questi episodi. Dalle notizie sui giornali, alle parole dei politici, dai buoni propositi personali e degli amici, dappertutto ci capita di ascoltare “proposte” e “lamentele” sulla società, su come cambiare ciò che non ci piace e su come migliorare ciò che già abbiamo.
Dove è il problema? Beh forse uno degli ostacoli al cambiamento e al miglioramento della società è proprio il nostro modo di porci davanti al problema. E la frase introduttiva coglie in pieno il senso della faccenda. Se al posto di ‘operatoriscolastici’ sostituiamo il termine ‘cittadini’ o ‘uomini’ e al posto di ‘scuola’ adoperiamo il termine ‘società’ la frase descrive molto bene un reale problema della nostra società.
In televisione, per radio, nelle discussioni tra amici ci sono molto spesso solo proposte irrealizzabili, o difficilmente realizzabili.Tutti i grandi uomini hanno compiuto le loro imprese con pazienza e con piccoli passi per volta. E allora perché nelle nostre proposte di cambiamento della società, parliamo di cose irrealizzabili? Perché in politica e nella televisione si parla molto e si prendono poche decisioni utili ai fini pratici?
Tralasciando la politica e la televisione in cui ci sono troppi interessi, economici e non, per poterne parlare in maniera semplice e diretta, poniamo dunque il tema sulla vita di tutti i giorni e sui discorsi che normalmente avvengono tra amici e normali cittadini.
Troppo spesso le nostre proposte riguardano ciò che non può essere (ancora) modificato, o perché irrealizzabile nel contesto spazio – temporale in cui viviamo, o per mancanza di un supporto pratico per la realizzazione. Sarebbe molto più utile iniziare dalle piccole cose, seguendo la strada percorsa dai grandi uomini.
Ma molti di noi non è questo ciò che vogliono. Invece di iniziare a dare un buon esempio nel piccolo, nella propria sfera personale, molto spesso parliamo di grandi propositi, della pace nel mondo, del problema della fame mondiale. L’uso spropositato di termini quali “mondo”, “mondiale”, “universale” sono spesso un segnale della nostra incapacità e mancanza di volontà nel risolvere realmente il problema.
Gandhi ha affermato: “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
E dunque iniziamo a dare nel nostro piccolo gli esempi di cambiamento. Inutile parlare di proposte di pace nel mondo se non riusciamo a far a meno di litigare con le persone attorno a noi.
E’ stato stimato che se tutti i cittadini del mondo volessero mangiare come noi Europei (o Americani) non ci sarebbe cibo e risorse a sufficienza nel mondo. Dunque, il problema della fame del mondo si può risolvere solo riducendo i consumi dei popoli “ricchi”. Dunque, siccome non è questo ciò che vogliamo singolarmente (perché pochi di noi sono disposti a rinunciare a parte del cibo e delle altre risorse che consumiamo giornalmente), il problema della fame del mondo non è un reale problema, nel senso che non è risolvibile nel contesto spazio – temporale attuale. Bisognerebbe prima gettare i semi di un cambiamento del singolo individuo per poter risolvere il problema della fame nel mondo, seriamente.
Le guerre nel mondo avvengono per tanti propositi, ma principalmente è la somma di tanti milioni di piccoli contributi. Un capo di stato non si sveglia un giorno e dichiara guerra al suo vicino. Siamo anche noi responsabili, perché come noi piccoli cittadini lottiamo e imbrogliamo per conquistare qualche euro, così uno stato lotta e ne distrugge un altro. Come noi litighiamo con i nostri vicini per futili motivi, così due stati confinanti si fanno guerra. Le dinamiche psicologiche sono simili, in fondo uno stato non è un aggregato di singoli uomini e donne? Da cellule malate può mai nascere un organismo sano?
Lao Tse ha affermato: “ciò che è in piccolo, cosi è in grande”.
Per questo motivo prima di sognare un cambiamento nel mondo cerchiamo di attuarlo in noi stessi. Non sogniamo la pace nel mondo, al di fuori di noi. Non limitiamoci a speculare su grandi proposte che possono risolvere i problemi dell’umanità. Se non ci circondiamo di pace, difficilmente il mondo lo farà. Ogni qualvolta cerchiamo di imbrogliare lo stato o altri cittadini, pensiamo che quello che stiamo facendo è dettato dalle stesse dinamiche psicologiche che causano i grandi problemi dell’umanità. Noi comuni cittadini possiamo truffare pochi soldi alle assicurazioni, possiamo appropriarci di qualche euro illegalmente e sentirci comunque con la coscienza a posto pensando che i veri problemi siano altri. Ma quasi tutti i problemi che abbiamo nella nostra società sono la somma dei nostri piccoli contributi e siamo pertanto corresponsabili.
Il problema è che molto spesso ci sentiamo fuori dal mondo. Consideriamo il mondo e la società come oggetti dei nostri pensieri, su cui ragionare e speculare. Ci dimentichiamo molto spesso che noi siamo parte effettiva del mondo e che possiamo agire di conseguenza per migliorarlo. Pregare o sperare non è sufficiente. E’ una formula troppo comoda per demandare agli altri o a Dio ciò che per pigrizia non abbiamo il coraggio di fare. L’esistenza o meno di un’entità che ci giudicherà dopo la morte non ci dovrebbe dare l’arroganza di rimanere inermi di fronte agli eventi, soprattutto quelli spiacevoli. La promessa di una vita migliore dopo la morte, non deve avere necessariamente come conseguenza la distruzione o l’abbandono del mondo in cui viviamo.
Nel parlare dunque con amici e parenti di grandi proposte non facciamo altro che contribuire al problema, se non altro perché molti di noi, nell’impossibilità di agire, nella pigrizia e nella falsità di cui troppo spesso inconsciamente ci circondiamo, illudiamo noi stessi parlando agli altri di proposte e soluzioni ‘irrealizzabili’. Nel giudicare chi commette grandi peccati, ci solleviamo dalla responsabilità dei nostri piccoli peccati quotidiani.
Il vero cambiamento inizia da una distanza che non va oltre un palmo dal nostro naso e da un tempo che non dura oltre quello di un battito di ciglia.
"La scuola insegna i contenuti di studio, ma non è in grado di fornire agli alunni indicazioni utili sul funzionamento della loro mente. Questa incapacità condanna inevitabilmente molti suoi utenti all’insuccesso, alimentando l’annosa e apparentemente incurabile piaga della mortalità scolastica" (http://www.didatticamentalista.it/)
Un uomo può vivere alcune settimane senza cibo, alcuni giorni senza acqua, solo qualche ora senza parlare di sé.
Non solo il corpo, ma anche il nostro ego ha bisogno di nutrienti. Ma di quali nutrienti si tratta? E cosaè l’Ego?
La maggior parte di noi passa quasi un terzo della propria esistenza nel sonno, la restante parte a condurre a termine i propri obiettivi, a curare la propria immagine personale, a rafforzare le proprie amicizie, a curare le proprie passioni. Non è un caso che la parola più usata nelle comuni discussioni sia il termine “IO”, e i suoi derivati. Insomma, ci teniamo moltissimo a noi stessi, alla nostra identità personale. Deve essere qualcosa di veramente importante per un uomo la propria immagine! A tal punto che per essa è disposta a lottare, anche a uccidere, se necessario.
Vivere nell’unità.
Ma cos’è l’Io? La nostra mente può essere paragonata ad un uomo immaginario immerso in una natura immensa e meravigliosa.In questo luogo magico , l’uomo inizialmente vaga indisturbato, senza una meta precisa. Ed è così che ogni giorno scopre posti nuovi e magnifici. Vive in armonia con il tutto.
E dall’unità si genera la dualità.
Poi, un giorno, incontra altre persone. Decide che il posto che ha scoperto è suo, che ne è il proprietario. Comincia a costruire un recinto, delle armi di difesa. Comincia a far entrare solo le persone di cui si fida. Comincia a lottare. Stringe alleanze, cura la propria immagine. Smette di esplorare il mondo. E lo si sente spesso affermare: questo è mio!
Il desiderio, l’attaccamento e la conseguente illusione, genera la separazione. Dall’uno, si passa al due, alla dualità, causa primaria della sofferenza.
L’Io … un recinto
Dunque l’Io potrebbe essere paragonato al recinto dell’esempio precedente. Un semplice recinto che usiamo come elemento di separazione tra la nostra mente e quella altrui.
Dentro al recinto dell’esempio precedente, l’uomo costruisce una casa, un giardino. Si sente protetto, distinto dagli altri. Ma poi? Tanto lavoro per niente? Certo che no. Lo fa vedere agli altri. E racconta del proprio giardino, della propria casa che ha costruito con amore. E nel fare ciò riserva poca importanza alle opinioni e parole altrui.
Forse l’Io è proprio questo, un recinto che separa le menti. Forse è così artificiale che ogni giorno avvertiamo la necessità di fare qualcosa, per ricordarci che esiste, che è concreto, reale. Se ne fossimo certi, perché parlarne cosi tanto? La maggior parte di noi non accetta forse di discutere con gli altri solo per parlare di se stesso? Per imporre il proprio punto di vista?
Il dialogo insomma sembra essere lo strumento preferito dell’egocentrico.
In oriente, in effetti, la saggezza è stata sempre equiparata con la capacità di saper ascoltare, piuttosto che con quella di parlare.
Se ci pensate, abbiamo due braccia e non andiamo giornalmente in giro a riferirlo agli altri. Si vedono, sono sotto gli occhi di tutti. Ma non così con i nostri pensieri! Spesso avvertiamo una irrefrenabile necessità di parlare di noi stessi, dei nostri pensieri agli altri. Mi sa che anche io sto facendo lo stesso in questo momento!
Ma cos’è l’Io?
Comunque sia possiamo considerare il nostro Io una parte importante di noi stessi, una cosa di cui andarne fieri. Dunque suppongo che conosciamo molto bene questa parte di noi stessi. Ciò che è strano, però, è che nella maggior parte dei casi è sufficiente chiedere il perché di un proprio comportamento o di una propria decisione ad una persona, che dopo un paio di domande del tipo “perché …” si sentirà la classica risposta “io sono fatto cosi”, “non saprei… è il mio carattere” o qualcosa del tipo “sono sempre stato cosi… io”.
Che strano essere questo Io! Giustifica il proprio comportamento e le proprie azioni in maniera auto-referenziale. Se, interrogando un astronomo, e ponendo ad egli una domanda del tipo “Cosa è la Luna?”, vi sentiste rispondere “La Luna è un qualcosa che è fatta come la Luna”… beh posso immaginare la vostra delusione e insoddisfazione. Un pò strana la risposta, direste, o forse senza senso. Ma, in fondo, è la risposta che diamo agli altri e a noi stessi quando ci interroghiamo su alcuni quesiti fondamentali posti sul nostro essere e sul nostro comportamento.
Sappiamo insomma così poco di noi stessi, ma lottiamo, offendiamo, uccidiamo per le nostre idee.
La biglia di Hofstadter
D. Hofstadter ha definito l’Io come una illusione ‘reale’, paragonando il concetto di Io a quello della biglia fantasma formata da una pila di buste per lettere. Le normali buste adoperate per spedire le lettere presentano un rigonfiamento centrale dovuto allo strato di carta superfluo per la chiusura. Una colonna di buste una sull’altra forma al suo centro una zona molto più dura delle parti esterne, dando al proprio tatto l’illusione di una sorta di ‘biglia’ presente nella parte centrale. L’illusione è talmente pura e reale che non sapendo che si sta toccando una pila di buste si ha la sensazione, anzi la certezza matematica, che all’interno della pila ci sia qualcosa di solido, di veramente duro. Ovviamente all’interno non c’è nulla, ma solo il contributo di centinaia di rigonfiamenti delle singole buste di carta. Per Hofstadter, la concezione dell’Io che abbiamo di noi stessi è qualcosa di simile. Siamo certi che esiste, come siamo sicuri che dentro le buste ci sia un corpo solido.
Ma la certezza svanisce quando si ha il coraggio di guardare dentro.
E ce ne vuole di coraggio. La disgregazione del proprio io, non è qualcosa di piacevole se non si è preparati!
Dov’è finita la materia?
In ogni caso la ricerca del nostro Io, del suo modo di agire e manifestarsi assomiglia moltissimo allo studio della materia condotta dagli scienziati, e da fisici e chimici in particolare negli ultimi anni. Era intenzione degli studiosi comprendere il mondo analizzando parti sempre più piccole della materia. Il riduzionismo sembrava essere la strada maestra per la comprensione di ogni cosa, i fenomeni fisici in particolare. Ma, le recenti scoperte nel mondo della fisica (come della psicologia) hanno fatto emergere qualcosa di sorprendente. Qualcuno ha affermato: “spaventoso!”.
La riduzione dal tutto all’uno non sempre è possibile.
Prendiamo la materia ad esempio. Consideriamo una solida e dura pietra. Ingrandendo con un microscopio la pietra, si arriverebbe ad un certo punto alla visione dei singoli atomi, e successivamente delle particelle sub-atomiche. E poi ? Un ipotetico microscopio con capacità di zoom ancora più elevate finirebbe per non vedere nulla! E si, la solida materia al suo interno non ha niente di solido. Tanto vuoto e … energia.
Come ha affermato B. Russell: “la materia è solo una formula comoda per descrivere ciò che avviene là dove essa in realtà non c’è”. E citando A. Einstein: “noi possiamo perciò considerare la materia come costituita dalle regioni dello spazio nelle quali il campo è particolarmente intenso … In questo nuovo tipo di fisica non c’e’ luogo insieme per campo e materia poiché il campo e’ la sola realtà.”
Insomma la materia così come noi la osserviamo tutti i giorni non è più, in un certo senso, oggetto di studio da parte della fisica moderna. Ciò che vediamo tutti i giorni è solo una parte, un modello, un’approssimazione di ciò che è reale, se di una realtà si può parlare.
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Il discorso della materia può applicarsi di pari passo alla nozione di Io. L’Io sembra qualcosa di solido, di innegabile. Come è innegabile l’esistenza della biglia di Holfstadter o della durezza di una pietra. Sono percepiti come reali, nessuno potrebbe affermare il contrario. Ma nell’analizzare fino in fondo la biglia o la pietra, e analogamente il nostro Io, ad un certo punto, con un certo grado di ingrandimento di un ipotetico microscopio non vedremmo nulla, niente di ciò che ci aspettiamo.
Questo ipotetico microscopio dell’Io, che si può chiamare Microscop-Io, finirebbe per rilevare nei costituenti del nostro Io niente che possa ricondurci ad esso. Insomma l’Io sembra essere un concetto olistico! Dunque perché appropriarcene. Se di un Io possiamo parlare nella realtà di tutti i giorni, lo dobbiamo agli altri, all’esistenza degli altri. Così come il sole deve il suo splendore, all’esistenza di luoghi e oggetti bui attorno ad esso.
Il già citato Hofstadter, nel suo libro “Anelli dell’Io”, ha mostrato con semplici esempi come l’indagare e il voler dimostrare il funzionamento del nostro cervello e del nostro Io attraverso la comprensione dei neuroni e delle parti microscopiche del nostro cervello, non fa altro che portarci fuori strada. Del nostro Io nei primitivi neuroni non c’è traccia! Ne è possibile spiegare molte proprietà e facoltà del nostro cervello mediante l’analisi di miliardi di piccole cellule.
Due tavoli che si sorreggono da sé…
Secondo il buddismo il nostro essere è costituito da 5 aggregati (o skanda): l’aggregato della materia, delle sensazioni, delle formazioni mentali, delle forze istintive e della coscienza. Si passa dunque dagli aspetti materiali, alla relativa percezione (i 5 sensi), fino alla consapevolezza e quindi al proprio Io, alla propria coscienza dunque. Una riflessione profonda sui cinque aggregati porta alla conclusione (secondo la visione buddista) che tutti gli aggregati sono privi di contenuto, privi di un sé. In un certo senso è molto simile a ciò che accade alla materia nella concezione fisica moderna, o alla biglia di Hofstadter. Da un certo punto di vista sono reali, perché percepiti come tali. Ma un’analisi profonda fa svanire ogni esistenza intrinseca.
La materia, come le biglie di Hofstadter, e come il nostro Sé nella visione orientale, esistono solo perché sono percepiti come esistenti da noi e dal nostro abitudinale piano di esistenza. Insomma tutte le cose che vediamo sono interconnesse e si sorreggono a vicenda nel piano reale. La materia esiste perché c’è una coscienza che la osserva e la definisce; come l’illusione che possono avere due ipotetici tavoli adiacenti, convinti ognuno che l’altro lo sorregga.
Nella visione buddista, la disgregazione dell’Io va intesa non come dissoluzione, o distruzione della nostra mente o di noi stessi, ma come consapevolezza che l’Io è un semplice epifenomeno dell’esistenza, senza una realtà fisica sottostante, che non può essere separato da tutto il resto, e la cui esistenza intrinseca è priva di significato.
Ciò che mi ha sempre affascinato è la presenza di nozioni di “materia = energia” in libri di oltre 2000 anni fa. La celebre equazione E = MC2 di Einstein è forse la traduzione matematica del sapere orientale, in cui la materia è stata sempre vista come una sorta di concentrazione di energia e come fenomeno vibrazionale, come agli occhi di un moderno fisico.
Antonio de Francesco.
Per concludere riporto le parole di Fred Van Allmen, tratte da un lavoro sui 5 aggregati:
…Ma esiste anche un ‘altra possibilità: invece di pensare al piede, cercate di avvertire,
sentire che cosa c’è là dove c’è il piede. Non so che cosa avvertiate voi specificamente; io sento
durezza o pressione, un certo tipo di superficie e una sensazione di freddo. Non c’è un piede. Ma
poi so che questa esperienza è chiamata piede. Nella meditazione, per la maggior parte del tempo, si
cerca di rimanere in contatto con l‘esperienza immediata, diretta della sensazione. Se penso ‘piede’
mi riferisco a qualcosa di immutabile: "È sempre stato il mio piede, per cinquantadue anni. Ma se
avverto direttamente ciò che sta succedendo, mi accorgo che c’e un’esperienza costantemente
cangiante, che è la realtà.
"La gravità è la forza più debole in natura, ma regna sovrana nelle grandi distanze e definisce la forma e la struttura dell’universo. Cosi il saggio comprende che, non dalla forza, ma dalla pazienza e dalla perseveranza delle proprie azioni scaturiscono i veri risultati” (AdF).